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Camille

 

Il battito di mani è poco più di un fruscio che arriva appena alle mie orecchie.

I visi di quel pubblico che, nemmeno qualche minuto fa abbiamo lasciato con il fiato sospeso, sono radiosi e sorridenti. Profondi inchini accompagnano i loro complimenti e lenti si avviano verso l’uscita del salone che li ha accolti in una serata piovosa. Una serata dedicata alla nostra compagnia di ballo .

Lentamente la sala principale si svuota e riporta il silenzio tra le quattro mura scintillanti che per la prima volta mi hanno visto come protagonista.

Tutto tace mentre lontano, in un mondo a parte, la pioggia continua ad abbattersi sulla fredda città.

E una voce arriva fino a me.

 “Sei stato bravissimo Emilio, hai fatto un buon lavoro.”

Bugiarda.

Da dietro il palco Luise spreca il suo fiato per complimentarsi con me, avvolta dall’abito candido che svolazza sulle snelle e lunghe gambe, con gli occhi lucidi e una rosa rossa tra le mani.

Bugiarda e innamorata fino alla fine.

Tutto non sembra altro che un effimero sogno che mi abbandonerà al risveglio in un’amara delusione.

Questa non può essere la realtà. Ed io… io non sarò mai al posto di quell’uomo…

Io, Emilio Dante Debertoli, primo ballerino qui al Teatro alla Scala? Un sogno irrealizzabile. Dove mai potrebbe andare uno con un nome del genere? Da nessuna parte ovviamente, non con una celebrità acclamata da tutti come Camille.. e, a volte… pensavo che anche senza di lui avrei continuato a vivere nell’ombra della mia vana speranza, continuando ad illudermi di poter essere un giorno notato.

Stupido. La vita non è certo sogni e belle cose.

Così diverso da lui, così opposto a quell’uomo che mi era superiore in tutto.

Così geloso della sua fama e stanco di essere a lui sempre secondo.

Avanzando lungo il palco mi avvicino alla sua fine, guardando senza realmente vedere la platea ora vuota. E lì, al centro della terza fila, due occhi dalla trasparenza cristallina mi fissano duramente.

Camille Noir.

Eppure che lui sia qui è impossibile. Un’impossibilità che ci lascia ugualmente nella sua illusione.

Piange Luise mentre rivede il suo amato e, insieme, veniamo rapiti da quell’uomo che poteva essere tutto ciò che desiderava o desideravano.

“Il mio nome è Camille Noir, e sarò il vostro Riccardo III.”

Arrogante era il suo tono, arroganti erano i suoi modi. Eppure, se non fosse stato lui, nessuno avrebbe dato ascolto a frasi tanto impavide. Ma Camille era Camille e il vuoto che ha lasciato è diventato ancora più grande.

Lacrime amare solcano il bel viso di Luise mentre sussurra al silenzio parole che una volta erano state di un uomo, che una volta erano appartenute ad un angelo in grado di volare quando danzava e ipnotizzare la gente con il suo sguardo di cristallo.

“Anche con la morte è possibile realizzare il proprio sogno.”

Soltanto uno come lui avrebbe potuto dire una cosa del genere.

Era un pazzo. Era un genio. Ma ora non sarà più niente. Soltanto un nome su una lapide.

Stupido Camille che hai abbandonato lo spettacolo prima che esso fosse terminato.

“La danza è tutto quello che conta nella mia vita. Non c’è altro al di fuori di questo, nella danza io vivo. Ricordatelo Emilio. Ricordatelo.”

Non dimenticherò mai i suoi occhi quando il dottore gli annunciò la fine di quella sua vita fatta per danzare. Non dimenticherò mai i brividi che mi colsero impreparato quando scoprimmo che l’angelo aveva perso le sue ali ed era diventato come tutti noi, un misero e semplice umano.

Non dimenticherò mai le parole scritte su quel biglietto.

“Il mio nome è Camille Noir, ho vissuto per danzare e per la danza muoio.”

Nel silenzio del salone le luci si spengono una per una e la pioggia che bagna la mia Milano lenta si affievolisce, piano si placa, e infine scema nel nulla lasciando soltanto il ricordo di sé.

Appoggia la rosa sul palco Luise, al centro, nel punto in cui Camille si lasciò morire con teatrale drammaticità. E anche lei se ne va.

Mi lascia solo nella gloria, in una gloria che ancora stento a riconoscere come mia.

Il pubblico mi ha acclamato. Sorrisi e complimenti erano soltanto per me, che di Riccardo III avevo preso il posto.

E, con lo sguardo di ghiaccio di un uomo che non posso vedere tra le fila vuote del palco, il sipario si chiude. Giunge la fine.

È finita una storia, Camille.

È finita la tua storia.

 

Il battito di mani è poco più di un fruscio.

I visi di quel pubblico che, nemmeno qualche minuto fa abbiamo lasciato con il fiato sospeso, sono radiosi e sorridenti.

Profondi inchini accompagnano i complimenti del pubblico e lenti si avviano verso l’uscita della sala che li ha accolti in una serata piovosa. Una serata dedicata alla nostra compagnia di ballo.

Il salone si svuota e riporta il silenzio tra le quattro mura che mi hanno visto come protagonista.

Tutto tace. Lontano, in un mondo a parte, la pioggia continua ad abbattersi sulla fredda città.

E una voce arriva fino a me.

“Sei stato bravissimo Emilio.”

Bugiarda.

Da dietro il palco Luise si complimenta con me, avvolta dall’abito candido, con gli occhi lucidi e una rosa tra le mani.

Questo è un effimero sogno che mi abbandonerà al risveglio.

Questa non può essere la realtà. Ed io non sarò mai al posto di quell’uomo…

Io, Emilio Dante Debertoli, primo ballerino qui al Teatro alla Scala?

Un sogno irrealizzabile!

Cosa mai potrebbe andare uno con un nome del genere? Niente. Non con una celebrità acclamata da tutti come Camille… e, a volte… penso che anche senza di lui avrei continuato a vivere nell’ombra della mia speranza.

Così diverso da lui, così opposto a quell'uomo che mi era superiore in tutto.

Così geloso della sua fama e stanco di essergli secondo.

Avanzando lungo il palco guardo senza realmente vedere la platea ora vuota. E lì, al centro della terza fila, due occhi dalla trasparenza cristallina mi fissano duramente.

Camille Noir.

Eppure che lui sia qui è impossibile. Un’impossibilità che ci lascia ugualmente nella sua illusione.

Piange Luise mentre rivede il suo amato e, insieme, veniamo rapiti da quell’uomo che poteva essere tutto ciò che desiderava.

“Il mio nome è Camille Noir, e sarò il vostro Riccardo III.”

Arrogante era il suo tono, arroganti erano i suoi modi. Eppure, se non fosse stato lui, nessuno avrebbe dato ascolto a frasi tanto impavide. Ma Camille era Camille e il vuoto che ha lasciato è diventato ancora più grande.

Lacrime solcano il bel viso di Luise mentre sussurra parole che una volta erano state di un uomo, che una volta erano appartenute ad un angelo in grado di volare nella danza e ipnotizzare la gente con il suo sguardo di cristallo.

“Anche con la morte è possibile realizzare il proprio sogno.”

Soltanto uno come lui avrebbe potuto dire una cosa del genere.

Era un pazzo.

Era un genio.

Ma ora non sarà più niente.

Soltanto un nome su una lapide.

Stupido Camille che hai abbandonato lo spettacolo prima che esso fosse terminato.

“La danza è tutto quello che conta nella mia vita. Nella danza io vivo. Ricordatelo Emilio. Ricordatelo.”

Non dimenticherò i suoi occhi quando il dottore annunciò la fine di quella sua vita fatta per danzare. Non dimenticherò i brividi che mi colsero impreparato quando scoprimmo che l’angelo aveva perso le sue ali ed era diventato come tutti noi, un misero e semplice mortale.

Non dimenticherò mai le parole scritte su quel biglietto.

“Il mio nome è Camille Noir, ho vissuto per danzare e per la danza muoio.”

Nel silenzio del salone le luci si spengono una ad una e la pioggia che bagna la mia Milano lenta si affievolisce, piano si placa, e infine scema nel nulla lasciando soltanto il ricordo di sé.

Appoggia la rosa Luise, lì, dove Camille si lasciò morire con teatrale drammaticità.

Se ne va.

Mi lascia solo nella gloria che stento a riconoscere come mia.

Il pubblico mi ha acclamato. Sorrisi e complimenti erano soltanto per me, che di Riccardo III avevo preso il posto.

E, con lo sguardo gelido di un uomo che non posso vedere tra le fila vuote della platea, il sipario si chiude.

Giunge la fine.

È finita una storia, Camille.

È finita la tua storia.